La vendemmia e la raccolta delle mele in Trentino: come sta andando l’annata 2019?

Il ‘ribollir dei tini’ promette bene, anche se per il giudizio sulla vendemmia 2019 bisognerà aspettare i primi mesi del nuovo anno. Il Trentino ha archiviato un raccolto propizio, seppur non memorabile. Un giudizio unanime, questo, rilasciato dai vari enologi, viticoltori, cantinieri o aziende vinarie che operano nelle valli che circondano il corso del fiume Adige.

Vendemmia con qualità ad alti livelli e una leggera contrazione nel quantitativo. Un calo attorno al 18% rispetto l’anno precedente – annata il 2018 molto copiosa – che comunque garantirà una produzione enologica d’assoluto valore.

Vendemmia che ha risentito dell’andamento stagionale non particolarmente insidioso. Fortunatamente non si sono registrate gelate primaverili, neppure devastanti grandinate. Pure il sole settembrino ha fatto maturare i grappoli e le varietà tardive hanno inoltre goduto del clima ottobrino.

La vendemmia ha dunque rispettato il fascino consueto di un passaggio d’alto valore simbolico: la fine vegetativa, la morte dell’uva, che sancisce la nascita del vino. Scambio che ha del magico, sicuramente coinvolgente. Lo è stato dai tempi più remoti, da quando anche Noè, dopo il diluvio universale – come racconta la Genesi – tornò a ravvivare la terra impiantando una vite, senza tralasciare una salutare bevuta di vino. Ubriacatura propiziatoria, più volte illustrata in ogni ambito, pure nella Cappella Sistina, per opera di Michelangelo.

Vendemmia (dal latino Vinum demere = levare il vino) pratica agricola tramandata da tecniche in voga già tra gli Egiziani ( la vite nasce lungo il Nilo, allora fertile, zona dove si ritiene fosse il Paradiso di Adamo ed Eva) e via via tra le popolazioni Caucasiche (sul monte Ararat, dove si posò l’Arca) poi un lento, fascinoso viaggio verso ovest. I Greci che nobilitano il rito, lo rendono mitologico (i Focei diffondono la vite onorando Dioniso) con Ulisse che rappresenta la curiosità e il fascino del vino. Per consentire ai Romani la diffusione più capillare della vite, con l’imperatore Probo che nel 276 ‘costringe’ le popolazioni più distanti da Roma a mettere a dimora viti per soddisfare le esigenze vinarie delle legioni.

Cenni storici per sottolineare come anche tra le Dolomiti di Brenta, la viticoltura non solo scandisce il paesaggio alpino: lo rende più autentico, veramente radicato con la cultura delle comunità.

Ogni borgo del Trentino enologico è un’icona vitata. Luoghi dove vite e vita hanno – per moltissime famiglie – lo stesso significato. Si coltiva il vigneto su micro appezzamenti, a suo tempo riservati esclusivamente per poter pigiare qualche quintale d’uva e mettere nelle ‘caneve’ un quantitativo di vino in grado di soddisfare il fabbisogno domestico. Vino un tempo banalmente ruspante, da colture su pendii spesso a rischio di equilibrio, filari sorretti da muri a secco, sassi e viti, fatiche e tanto lavoro in vigna per soddisfare la schietta bramosia di un sorso di vino.

Moderne aziende vitivinicole operano con cipiglio manageriale, imprenditori trentini che mantengono la produzione ai massimi livelli, non solo nazionali. Brand di pregio, per vini d’alto livello, veri ‘ambasciatori del gusto’ di un Trentino che anche con la recente vendemmia si pone tra i protagonisti del buon bere internazionale.

Vini promettenti, dunque e un raccolto frutticolo altrettanto convincente.

Per le aziende frutticole trentine il 2019 è stato appena archiviato come ‘tra il buono e l’ottimo’ in merito alla qualità della frutta, mentre meno soddisfacente in rese. Cala il quantitativo – un meno 8% – che registra comunque una produzione di oltre 2 milioni e 200 mila tonnellate, ponendosi ai vertici nazionali per resa ma soprattutto per l’indiscutibile salubrità dei ‘pomi’ trentini. Con i consorzi che ora stanno ‘lavorando’ il raccolto e hanno già attivamente intrapreso una massiccia campagna commerciale, per mettere sulle tavole – italiane, europee e di qualche stato molto lontano – il meglio della frutticoltura dolomitica.

Andamento stagionale soddisfacente e una presenza sul mercato più vasto facilitata anche dal crollo produttivo di mele Made in Polonia, la nazione che più impensieriva ( per l’offerta di mele a basso prezzo) i frutticoltori di montagna.

Trentino frutticolo che ha dovuto purtroppo fare i conti con l’insidia della cimice asiatica, l’insetto che ha devastato diverse campagne, provocando danni milionari a gran parte degli imprenditori agricoli che operano nel settore delle mele.